Chi restava a casa: famiglie e comunità
La maggior parte degli internati era formata da padri di famiglia, spesso unico sostegno economico. I beni della maggior parte degli internati furono posti sotto sequestro da parte del Custode delle Proprietà Nemiche. I conti in banca furono congelati. Le mogli o altri familiari dovettero fare richiesta di autorizzazione governativa per poter accedere ai fondi. Le donne fecero quanto potevano per sbarcare il lunario. Lavorarono come sarte, lavandaie e donne delle pulizie e presero pensionanti. In assenza dei mariti, gestirono le aziende familiari sotto la supervisione del governo.
Le famiglie dovettero assorbire il trauma di veder portar via dalla polizia un coniuge o un genitore con poche o nessuna spiegazione. In alcuni casi, non seppero per settimane dove si trovassero i loro cari. La notifica dell'internamento giunse quando gli internati scrissero dal campo.
Le famiglie si diedero attivamente da fare per contattare avvocati, sacerdoti e parlamentari locali nel tentativo di far liberare gli internati. Ci furono anche alcuni che cercarono di trarre profitto dalle sofferenze delle famiglie degli internati. A Guelph, il padre di un internato si vide chiedere una forte somma di denaro per ottenerne il rilascio. Casi del genere si verificarono anche a Windsor e Montreal.
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Collezione
Prisoner of War mail, by Ruggero Bacci, to Mrs. Minnie Bacci, February 23, 1943 - solo in inglese
Lettera della piccola Enrica Pataracchia a suo padre Nello Pataracchia
Prisoner of War mail, by Ruggero Bacci, to Mrs. Minnie Bacci, April 16, 1943 - solo in inglese